Ho già espresso in un precedente articolo cosa penso della televisione e dei suoi effetti a livello sociale e comportamentale sulle persone (soprattutto, poi, sulle menti dei ragazzi più giovani che ancora non hanno sviluppato un proprio senso critico e una propria identità). E ora direi che è il caso di parlare dei ragazzi smartphone dipendenti. Non dirmi che non lo sei un po’ anche tu…
Quasi tutte le volte che esco di casa e mi trovo in ambienti alquanto affollati (in realtà, se posso, cerco di evitarlo, da buon introverso e amante del silenzio e della tranquillità), noto spesso questo nuovo fenomeno sociale ormai imperante negli ultimi anni: gruppi di amici uno a fianco all’altro che, anziché parlarsi e interagire, smanettano a più non posso (spesso chattando tra loro!); ragazzi presi dalla mania ossessivo-compulsiva dei selfie per ogni cosa che fanno (anche andare in bagno); o semplicemente gente che cammina per la strada buttando l’occhio un secondo davanti a sé e altri dieci al proprio telefono, rischiando incidenti che neanche sulla tangenziale di Milano all’ora di punta. Questi sono i ragazzi smartphone dipendenti.
E mi chiedo spesso: “Ma come fanno certi ragazzi a fare code chilometriche in attesa dell’ultimo modello dell’iPhone da 700 euro?”.
“Come fanno a cambiare un modello di cellulare all’anno, sempre alla ricerca dell’ultimo gioiello tecnologico alla moda, peggio che con un paio di scarpe?”.
“E come fanno a starci incollati per ore e ore, come se niente e nessuno esistesse nel mondo al di fuori del loro schermo virtuale? Come se fosse la cosa più importante di tutte?”.
E ora un annuncio incredibile: io, personalmente, non ho uno smartphone (e non sono un vecchio decrepito avulso dalla tecnologia che non sa come accendere un pc): mi tengo stretto il mio buon cellulare della Samsung da 20 euro dell’era preistorica. Chiamate, messaggi e punto. Quanto basta, senza farmi stressare ulteriormente da infinite app, buone più che altro a consumare il tuo tempo e le tue energie, a scaricare la batteria della tua vita… Non voglio appartenere alla categoria dei ragazzi smartphone dipendenti.
Pensando al presente e specialmente al futuro, mi assale la paura: quella di vivere in una società della comunicazione ipertecnologica (positiva e molto comoda per certi versi) pervasa in realtà da un costante senso di incomunicabilità. Incomunicabilità di parole, di sguardi, di gesti, di vere emozioni che si trasmettono a pelle solo dal vivo, senza alcuna tecnologia, solo grazie al contatto e al calore umano. E lo dico da introverso/solitario…
Anch’io devo ammettere, mio malgrado, una certa dipendenza dalla tecnologia che mi fornisce il mio caro pc, ma non ai livelli assurdi che ho descritto all’inizio con gli smartphone. Quando ho bisogno dei miei momenti di pausa e di ricarica energetica, non c’è internet o aggeggio tecnologico che tenga!
Un’uscita in bici, una passeggiata, ammirare la campagna e il paesaggio circostante, fare due chiacchiere offline, un brano emozionante e, naturalmente, leggere un buon libro: che diverta, che intrighi, che faccia riflettere e ti lasci dentro qualcosa di positivo e importante per te! Tutte attività normali che mi fanno rivalutare il gusto di una vita semplice e ugualmente godibile, anche senza uno smartphone e l’ossessionante tecnologia sempre con te 24/7.
Ho accennato indirettamente all’argomento della dipendenza dalla tecnologia, anche in relazione alla natura che ci circonda, nel mio romanzo per ragazzi L’impresa dei giovani eroi.
Senza farla diventare un’altra forma di schiavitù moderna, specie per noi giovani, con la quale chi detiene il potere mediatico (e non) possa distrarci e controllarci meglio, impedendoci di pensare: a noi stessi, alla vita, a chi vogliamo essere e a come vogliamo realizzarci…
Mi piace lasciarti con un breve video che spero possa farti riflettere su questo tema: